Di Pieradrea Fanigliulo
Un titolo dev’essere solitamente corto e incisivo ma, onestamente, credo che già così sia stato sfoltito di almeno altri dieci nomi che spaziano dai trequartisti Morfeo e Locatelli, ai panzer Casiraghi e Hubner, passando per Ravanelli, Protti, Pellissier, Benny Carbone, Marco Negri e Gilardino. La nazionale di questi ultimi anni poggia le sue ambizioni offensive sul duo Immobile-Belotti, alternati in maniera scientifica da Roberto Mancini. Una coppia che desta più di qualche dubbio a quanti guardano la nazionale azzurra che risulta imbattuta da circa due anni e mezzo, inanellando ben 24 risultati utili consecutivi. Risale infatti al 10 settembre del 2018 la data dell’ultima sconfitta dell’Italia: 1-0 contro il Portogallo con rete di André Silva. Da allora solo vittorie e pareggi con un gioco sempre più convincente cercato e voluto dal Ct Mancini.
Proprio l’attuale selezionatore azzurro fa parte di quell’elenco lunghissimo di nomi che, a leggerli tutti insieme, sembra quasi impossibile possa aver giocato nello stesso arco temporale. Certo, alcuni di loro hanno iniziato mentre altri stavano finendo, ma l’Italia ha realmente avuto a disposizione quel parterre di attaccanti in poco più di un ventennio. Se prendiamo in considerazione gli anni che vanno dal 1990 al 2010 il campionato italiano e il nostro calcio hanno sfornato campioni in ogni ruolo e, ovviamente, anche e soprattutto nel reparto offensivo.
Non si vuole certo dare addosso a Belotti e Immobile che comunque sono due ottimi attaccanti e lo testimonia il fatto che il primo è entrato nella storia del Torino andando in doppia cifra per la settima stagione consecutiva e il secondo avendo vinto proprio lo scorso anno la Scapa d’Oro. Come ulteriore giustificazione per i centravanti azzurri c’è da dire che spesso, anche quelli elencati prima, non brillavano in nazionale come facevano nei loro club.
Poi, però, riguardi i nomi del titolo e del primo paragrafo, vai a rivedere le statistiche e ti accorgi che avresti potuto inserirne altri come Muzzi, Tommaso Rocchi, Simone Inzaghi, ecc. Allo stesso modo cerchi tra gli attaccanti italiani, o tra i giocatori offensivi italiani, in circolazione e scopri che a voler essere generosi si creerebbe una lista nomi fatta di: Insigne, Berardi, El Sharaawi, Bernardeschi, Politano, Chiesa, Kean e, ovviamente, Immobile e Belotti. Il confronto fa quasi tenerezza se si pensa che ai margini della nazionale di quel ventennio c’era gente che in Serie A, a volte anche in Europa con il proprio club, segnava e dava spettacolo, penso a Zola, Di Vaio, Enrico Chiesa, Miccoli, Di Natale, Di Michele, Lucarelli, Hubner, Morfeo e tanti altri. Ho voluto escludere volutamente Cassano perché ogni volta che ripenso a quanto abbia privato il mondo della sua arte calcistica divento matto. A prescindere dal genio di Bari vecchia, il paragone tra l’attuale disponibilità offensiva italiana e quella passata è davvero imbarazzante.
Cosa può essere cambiato in un decennio da costringere la nazionale ad aggrapparsi a due attaccanti che, onestamente, la maglia azzurra non l’avrebbero mai vista in quel ventennio? Questo calcio tattico, in cui l’estro e l’individualità sono annichilite a vantaggio del presunto progresso sul piano del gioco, è realmente la strada da perseguire? Credo che gente come Di Natale o Miccoli, senza scomodare Baggio, Del Piero e Totti, non siano stati tali perché “creati in laboratorio”. Allo stesso modo il fiuto del gol di Inzaghi, Vieri e Toni non è figlio delle “cantere” ma di una dote innata, che l’allenamento può solo affinare. Sempre più ex calciatori invocano un ritorno al calcio delle origini, forse non hanno poi così torto.