I primi due anni nella scuderia di Maranello, però, le cose non andarono come si sperava. Il divario tecnico e meccanico con le monoposto inglesi era troppo ampio. Nonostante tutto, il tedesco diede battaglia sulle piste di tutto il Mondo, a volte anche con eccessiva foga. Nel 1997, infatti, fu squalificato venendo estromesso dalla classifica piloti per una manovra ritenuta volontariamente dannosa nei confronti del rivale Jacques Villenueve. Il titolo andò al canadese, ma il mondo della Formula 1 aveva imparato a conoscere quanto formidabile potesse essere il connubio di quel cavaliere tedesco con il suo cavallino rampante.

Nel biennio successivo Michael Schumacher scoprì che non c’è supereroe senza almeno un alter ego col quale duellare. Nel caso del tedesco il duellante aveva gli occhi e il sangue di ghiaccio, veniva dalla freddissima Finlandia e rispondeva al nome di Mika Hakkinen. In pista i suoi superpoteri erano figli dei suoi natali: glaciale alla guida, quasi incapace di lasciarsi disturbare dalle emozioni. Queste qualità lo portarono nel 1998 e nel 1999 a prendersi i titoli di Formula 1 senza quasi batter ciglio. Dal 1993, da quando approdò alla McLaren, il suo percorso di crescita non subì distrazioni da ciò che gli accadeva attorno. La costanza era certamente il suo pregio migliore nell’arco degli anni, tanto da portarlo a punti in oltre metà dei gran premi disputati. Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, circuito dopo circuito, l’ascesa del finlandese toccò il suo apice. Lo raggiunse nei due anni in cui Schumi era sempre ad un passo dal prendersi il trono, tanto da vincere nel 1999 la classifica costruttori assieme al compagno Irvine; mancava alla Ferrari da ben quindici anni. Nel mondo dell’automobilismo non vi era addetto ai lavori che non condividesse la stessa certezza: mancava ormai pochissimo al suo primo titolo piloti con la Ferrari.

Il 31 dicembre del 1999 alle ore 23:59 il mondo si accingeva ad assistere all’ultimo giro di lancetta, prima di mettere il punto al suo secondo millennio dopo la nascita di Cristo. Una data vissuta come l’inizio di una nuova era. Un momento che aveva dato spazio alle teorie più fantasiose sulle possibili conseguenze portate all’umanità da quei nuovi numeri da scrivere su agende e calendari quasi con timore e reverenza: 2000. Dal “Millennium bug” alla “fine del mondo” (addirittura) l’uomo dava fondo all’immaginazione. Si viveva col terrore che le macchine, da un momento all’altro, potessero ribellarsi all’uomo. La speranza era che i Robot fossero stati messi a conoscenza delle tre leggi della robotica di Isaac Asimov. In quel clima di panico e incertezza c’era un tedesco imperturbabile che aveva in mente solo di salire sul gradino più alto del podio al termine della sua stagione sportiva: la stagione del Mondiale di Formula 1, quella del 2000, appunto. Lui e il suo cavallino rampante dovevano vedersela nuovamente con l’uomo di ghiaccio, forte dei titoli vinti negli ultimi due anni. La sfida tra i due, quell’anno, ebbe inizio il 12 marzo a Melbourne, con il Gran Premio d’Australia. Le Ferrari di Schumi e della sua seconda guida Barrichello erano tirate a lucido. Il rosso fiammante delle monoposto di Maranello era la realizzazione di quella velocità tanto sognata dal modenese Enzo Ferrari. Non erano da meno, però, le McLaren di Coulthard e del finlandese Hakkinen, che difatti si presero la prima fila sulla griglia di partenza. In gara, però, si dovette registrare il ritiro di entrambe le vetture inglesi per guasti ai motori. Schumacher, che nel frattempo faceva registrare un giro veloce dietro l’altro, poté involarsi sicuro verso la prima vittoria stagionale, con Barrichello secondo a formare una fantastica doppietta della scuderia italiana.

Il resto della stagione scivolò via con le affermazioni di Schumi in altri quattro gran premi, prima di giungere a quello del Belgio. Proprio il Belgio, dove il ragazzo di Hurth aveva debuttato nove anni prima in Formula 1; lo stesso circuito che aveva visto la sua prima affermazione nell’élite dell’automobilismo mondiale. Quel giorno di fine estate, a SPA, l’uomo di ghiaccio della McLaren si era preso una volta ancora la pole position. Schumi, invece, era costretto a partire dalla quarta posizione alle spalle anche di Jarno Trulli e Jenson Button. La pista era ancora molto bagnata a causa della pioggia caduta copiosa la mattina, così, la partenza di quel 27 agosto, fu effettuata dietro la safety car. Il tedesco, in gara, non intendeva far scappare via Hakkinen avanti già di due punti nella classifica piloti. Così, nei primissimi giri, riuscì a mettersi subito alle sue spalle dopo aver superato l’italiano Trulli e l’inglese Button. La sfida tra i due stava toccando i momenti più alti della contesa. Una battaglia tra pesi massimi che si rispettavano e riconoscevano il valore l’uno dell’altro. A pochi giri dalla fine Hakkinen perde il controllo della sua monoposto ed effettua un mezzo testacoda che lo porta ad essere superato dallo storico rivale. Ora è Schumacher a vedere il finlandese all’interno del suo specchietto. Manca pochissimo al termine del Gran Premio del Belgio e davanti al tedesco c’è un doppiaggio da effettuare; una semplice formalità per un campione come lui. Il rettilineo è quello giusto. Nel frattempo, nel suo specchietto, l’immagine della McLaren numero 1 è ancora lì, a pochi centesimi di distanza. È il brasiliano Ricardo Zonta il pilota che si appresta ad essere doppiato. Come da prassi lascia libero l’esterno della pista, affinché la macchina dietro di lui possa effettuare in maniera agevole il sorpasso. Il copione è scritto e pronto ad essere letto: Schumacher supera Zonta ed effettua il doppiaggio mantenendo la testa della gara… e invece no! Invece accade l’imponderabile. Accade quello che lo sport, spesso, ha fatto in modo che potesse succedere: che l’uomo andasse oltre regole scritte e limiti tracciati. Accade che Mika Hakkinen, nello stesso momento in cui il tedesco della Ferrari stava sorpassando Zonta dall’esterno, faccia lo stesso dalla parte interna della pista. Il fermo immagine è un inno alla bellezza della Formula 1: Zonta in mezzo alla pista e, ai suoi lati, a destra Hakkinen e a sinistra Schumacher; tre sorpassi in un solo istante. Il coraggio e l’intuizione capace di rompere gli schemi, premieranno il finlandese, che potrà salire sul gradino più alto del podio della pista tanto cara a Shumi. Ma il cavaliere e il suo cavallino rampante, anch’essi attori protagonisti del sorpasso più spettacolare della storia della Formula 1, sono lì. Quel sorpasso, fatto e subito al tempo stesso, fornirà la spinta necessaria a Schumacher per andare a prendersi il suo primo titolo piloti alla guida della rossa di Maranello. L’Olimpo è suo, accingendosi a diventare negli anni a venire il pilota più titolato della storia. Quel pilota, che si è seduto tra le divinità dello sport e che, un maledettissimo giorno del 2013, l’umanità ha riscoperto umano su una pista da sci.

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