C’era una volta un ragazzino dai folti capelli ricci che correva dietro ad un pallone. Amava quel pallone come amava il poster della sua squadra del cuore appeso alla porta della sua cameretta. Il Milan e il calcio erano le passioni che lo portavano a fiondarsi per strada a giocare con i suoi amici. Finché, un giorno, nonno Sotero regalò a suo nipote dai riccioli bruni, un veicolo che sarebbe diventato un tutt’uno con le sue gambe: una bicicletta.

Marco Pantani, così si chiamava quel ragazzino, capì immediatamente che tra lui e la bici vi era un’alchimia magica. In fondo, per sfuggire via dai compiti di scuola con cui non andava d’accordo, si era reso conto sin da subito che alzandosi sui pedali era in grado di volare via, lontano, dove nessuno poteva raggiungerlo. Ogni volta che rientrava, però, nonno Sotero era lì ad aspettarlo sull’uscio di casa con quel faccione sorridente, impegnato a mostrarsi serio per ricordare a Marco gli obblighi di un ragazzo della sua età. Tra le vie di Cesenatico, il comune nel quale abitava, prese a percorrere le stesse strade della G.C. Fausto Coppi, l’associazione sportiva dilettantistica con cui si tesserò. Gli inizi di Pantani, sembrano fatti apposta per confondere le idee di chi arrotola il nastro della sua vita. L’amore per il calcio dei suoi primi anni, i capelli folti e ricci da ragazzino e poi, la sua prima vittoria in una gara ciclistica, un tracciato esclusivamente pianeggiante: era il 22 aprile del 1984.

Su quei pedali, Marco, iniziava a correre sempre più forte. Bruciava le tappe della sua carriera e delle gare che affrontava; così, nel 1992, vinse il suo primo Giro d’Italia dilettanti. La notizia era di quelle belle, da urlare tutta d’un fiato alle persone che ami. Rientrato a casa, l’entusiasmo del ragazzo di Cesenatico fu spezzato dalla voce incupita di mamma Tonina, che esortava il figlio a recarsi in ospedale perché nonno Sotero non stava bene. Il pianto di quel giovane campione, accompagnò la promessa fatta a chi, su quella bici, l’aveva messo: avrebbe vinto il Giro d’Italia, quello vero, quello dei grandi. Era la parola che aveva dato al nonno con il quale andava a pescare e con il quale trascorreva intere giornate da bambino. Una promessa da mantenere per chi non avrebbe più potuto vederlo correre, alzandosi sui pedali della sua bici.

L’occasione arrivò l’anno successivo, quando nel 1993 partecipò alla corsa a tappe italiana. La squadra era la Carrera del ds Davide Boifava. Era il suo esordio tra i professionisti e al primo tentativo dovette ritirarsi a pochi giorni dalla conclusione, per una tendinite che non gli consentì di proseguire. La sensazione, però, è che quel ragazzo, che iniziava a perdere la folta chioma riccioluta, si stesse solo “riscaldando” per far vedere presto al mondo quanto andava forte sui pedali.

L’anno successivo il rito iniziatico poté compiersi. Le prove del fuoco che scelse di affrontare corrisposero alle salite del Mortirolo per il Giro d’Italia e della Val Thorens per il Tour de France. Era il 5 giugno del 1994, quando Marco Pantani si prese il Mortirolo. La tattica della Carrera prevedeva di accompagnare l’attacco del suo capitano, Chiappucci, che era partito da lontano. Superato lo Stelvio iniziò a delinearsi la salita del Mortirolo. Fu all’inizio di quella salita che Marco, come uno squalo che annusa il sangue, decise di alzarsi, di nuovo, sui pedali. Il suo attacco fu spietato. Superò tutti, compresi Chiappucci e lo spagnolo Miguel Indurain che nessuno, sino ad allora, aveva messo così palesemente in crisi. Arrivò da solo in cima, per poi involarsi verso la sua seconda vittoria consecutiva. In quel Giro, il ragazzo di Cesenatico, arrivò secondo e il mondo dello sport iniziava a scoprire un nuovo eroe. Quel rito iniziatico, che l’avrebbe portato nell’Olimpo del ciclismo, non era ancora finito. Quell’anno doveva affrontare il suo primo Tour de France. Nell’81esimo Tour c’erano tutti i campioni del tempo, compreso Indurain, che era stato sconfitto poco più di un mese prima al Giro d’Italia da Pantani. Lo spagnolo era una furia e la maglia gialla divenne ben presto sua, mantenuta tale sino alla fine della competizione. Marco, però, era diventato in pochissimo tempo un beniamino del popolo. Cesenatico, durante le gare, tratteneva il fiato per poi esplodere in un boato fragoroso: “Marco è scattato”. Mancavano ormai poche tappe alla fine del Tour e Pantani sapeva di avere tante aspettative riposte in lui. Inoltre, mancava ancora la seconda prova del fuoco. L’occasione si presentò nella tappa forse più difficile: Bourg-d’Oisans – Val Thorens. Il giorno prima era riuscito a staccare Miguel Indurain nella salita dell’Alpe Huez, quel giorno avrebbe voluto ripetersi. A poco più di venti chilometri dal via, però, è coinvolto in una brutta caduta. Tornato in sella fa fatica a estendere il ginocchio, visivamente sanguinante. È ad un passo dal gettare la spugna quando le gambe riprendono a mulinare. Pedalata dopo pedalata, riesce a riprendere il gruppone della maglia gialla. Quando mancano ancora molti chilometri all’arrivo, improvvisamente, una sagoma minuta, in piedi sui pedali della sua bici, sferra l’attacco al re Indurain. Alla fine del Tour la maglia gialla sarà dello spagnolo, ma Pantani (arriverà terzo e si aggiudicherà quella bianca della classifica giovani) è presentato al mondo del ciclismo e dello sport intero.

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