NBA: Bukcs campioni! Un greco sull’Olimpo del basket

Giannis Antetokounmpo (Photo by Jonathan Daniel/Getty Images)
Giannis Antetokounmpo (Photo by Jonathan Daniel/Getty Images)

Cinquanta punti e 13 rimbalzi nella partita che si è rivelata decisiva. Un’altra prova mostruosa, da vera divinità del basket. E adesso è campione Nba, a 26 anni di età. Non gli bastava sapere che lo considerano un fenomeno con margini di crescita illimitati (tre anni fa Shaquille O’Neal decise di “cedergli” il suo soprannome storico di Superman) e nemmeno gli erano sufficienti i due titoli di miglior giocatore della lega professionistica. No, a Giannis Antetokounmpo, fuoriclasse greco di origini nigeriane, importava solo arrivare al vertice del basket professionistico. Gli interessava anche per regolare, bonariamente, una questione familiare: Kostas, il terzo fratello, pur giocando poco e finendo spesso dirottato alla formazione satellite nella lega di sviluppo, era nel roster dei Lakers campioni nel 2020. Piaccia o meno, il primo ad alzare il Larry O’Brien Trophy era stato lui.

Adesso Giannis ce l’ha fatta e la chiesa è stata rimessa al centro del villaggio: i Milwaukee Bucks, dove peraltro ha giocato e vinto pure il fratello maggiore Thanasis (solo un buon panchinaro, ma alla fine la curiosità è che tre Antetokounmpo su quattro – manca solo il minore, Alex, che milita in Spagna – sono campioni Nba), hanno rimontato lo 0-2 iniziale nella serie con Phoenix e hanno chiuso The Finals sul 4-2 grazie alla decisiva vittoria per 105-98 in gara-6. Per i Suns e per il loro leader Chris Paul, che a 36 anni sognava finalmente di vincere il titolo, è una delusione profonda: avevano in mano l’inerzia della finale e se la sono fatta scippare. Tra l’altro Giannis aveva cominciato la serie con i tormenti di una prima partita ancora condizionata dall’infortunio al ginocchio sinistro rimediato nella quinta sfida della finale Est contro Atlanta.PUBBLICITÀ

Ma poi si è messo in marcia e, tanto per gradire, ha sparato subito una prestazione da 40 punti e una da 41 (con una messe di rimbalzi). In gara 4 è stato autore di una stoppata decisiva – per tutti l’azione che ha dato una svolta alla serie – e nella quinta partita assieme a Jrue Holiday ha sbancato Phoenix portando i Bucks sul 3-2. In gara 6 il capolavoro. Una forza della natura prestata al basket e adesso al servizio di Milwaukee, che conquista il secondo anello della sua storia dopo quello del 1971. Anche 50 anni fa c’era un uomo che dettava legge a centro area: Ferdinand Lew Alcindor, da poco diventato Kareem Abdul Jabbar. Oggi quella dominanza – pur con tutte le differenze e gli aggiornamenti del caso – s’è trasferita ad Antetokounmpo, paladino di una legione straniera sempre più numerosa e sempre più decisiva nella Nba.

Giannis Antetokounmpo non è da solo i Milwaukee Bucks, che a suo fianco hanno aggiunto Jrue Holiday (scelta azzeccatissima quella caduta sull’ex di New Orleans) per completare una sorta di Santa Trinità assieme a Khris Middleton, dal 2013 altro punto di forza dei Cervi del Wisconsin. Ma di questa Trinità del basket l’elemento centrale è indiscutibilmente lui, l’uomo che lo scorso dicembre ha firmato un contratto da 228 milioni di dollari in cinque anni – tanti soldi e un chiaro atto di fiducia sui Bucks –, il ragazzo la cui vita (assieme a quella dei fratelli) sarà raccontata da un film live action (titolo: Greek Freak, il soprannome di Giannis) prodotto dalla Walt Disney Studios e diretto dal regista nigeriano Akim Omotoso.

La Nba del terzo millennio è perennemente a caccia degli “unicorni”. Un animale mitologico, inesistente nella realtà. E’ una definizione simpatica per indicare una ricerca difficile: i cestisti-unicorni sono quelli lunghissimi che sanno fare di tutto. Giannis, 26 anni, nato nel segno del Sagittario, 211 centimetri per 110 chili di muscoli scolpiti nel marmo (come dimostra una foto in cui esibisce i suoi clamorosi pettorali), è l’unicorno degli unicorni, anche se per completare il bagaglio tecnico gli manca ancora una reale pericolosità dalla grande distanza (ed è sul tiro da tre che Antetokounmpo sta investendo da almeno un anno a questa parte). Ma il resto è qualcosa di semplicemente straordinario, dai balzi spaventosi, all’uso perfetto delle gambe a mo’ di compasso, all’apertura di braccia da… aereo (estese, arrivano a 222 centimetri, mentre ogni mano è lunga 26 centimetri), alla falcata che ricorda quella di Julius Erving.

Tanti tifano per Giannis – inciso: la sua canotta numero 34 sta spopolando nel merchandising Nba e a Milwaukee parecchi accostano Antetokunmpo proprio al mito di Kareem Abdul Jabbar – e lo fanno con ancora più piacere ripensando al suo punto d’inizio. La famiglia, infatti, sbarcò dalla Nigeria nel 1992: Charles e Veronica Adetokunbo, scappavano dal loro Paese; una volta giunti in Grecia, come prima cosa si videro grecizzato il cognome. Come seconda cosa si resero conto, loro e i cinque figli, che l’accoglienza era tutt’altro che cordiale, anche a causa del crescente odio razziale. Per vent’anni hanno vissuto nella semi-clandestinità. Il padre lavorava nei cantieri, ma con paghe talmente basse che non sempre riusciva a sfamare la famiglia. La madre si arrangiava invece come baby sitter e i figli davano una mano in qualche modo, sia con lavori manuali e di fatica sia facendo i “vucumprà” ambulanti, girando a vendere merce taroccata di griffe famose per i quartieri più problematici e periferici della capitale.

A cominciare dal loro, Sepolia, dove c’era sempre il rischio che qualcuno li denunciasse, determinando l’automatico rimpatrio in Nigeria. Giannis e la sua famiglia hanno dovuto correre in salita ed è per questo che è ancora più ammirevole sia il suo non dimenticare il passato, sia l’attenzione che riserva ai fratelli, sia il valore che dà a ogni cosa. Un giorno un compagno gli regalò un paio di scarpe Gucci. Antetokounmpo si ricordò di quando vendeva quelle false, per cui rimproverò il collega di aver speso troppo e promise di conservarle al meglio, mettendole solo nelle grandi occasioni. Ma ci sono altri aneddoti relativi alla sua transizione dalla povertà a un benessere ormai segnato da fiumi di dollari. Uno dei più comici: nella sala che i Bucks mettono a disposizione dei giocatori per mangiare (cosa che fanno tutti i club Nba peraltro), Giannis era solito presentarsi con alcune buste per accumulare più cibo possibile; nella sua vita nessuno gli aveva mai regalato nulla. Un’altra volta, uscito dall’ufficio dove aveva trasferito dei soldi in Grecia alla famiglia, si rese conto di non aver avanzato nemmeno un dollaro per pagare il taxi e andare alla partita.

Temendo la sfuriata del coach, si mise a correre a più non posso finché la sua velocità e le sue falcate “disumane” furono notate da una coppia che pretese di farlo salire sull’auto per portarlo in tempo al palazzetto. Il basket è stato l’occasione di svolta per gli Antetokounmpo, anche se all’inizio Thanasis e Giannis non giocavano nemmeno assieme perché potevano permettersi solo un paio di scarpe in due (ed è anche per questo che Giannis una volta rimproverò l’allora compagno di squadra Caron Butler che stava buttando via un paio di sneaker usate ma ancora sfruttabili). Peraltro, l’esplosione fisica dei due fratelli ha semplificato il cammino e quando Giannis è arrivato a 211 centimetri è come se avesse pescato un jolly: in un basket ormai privo di ruoli definiti e definibili, infatti, la statura è un fattore determinante. Antetokounmpo ci aggiunge un’etica del lavoro senza pari: si racconta ad esempio che spesso dopo una sconfitta dei Bucks – e poco in porta se il team è reduce da una trasferta – se ne va in palestra ad allenarsi per i fatti suoi.

Ci si domanda, vedendolo attaccare il canestro, difendere, stoppare, prendere rimbalzi, saltare a livelli riservati a pochi, come il suo talento possa essergli valso – pur da prima scelta – solo la chiamata come numero 15 del draft 2013. Risposta semplice: all’epoca non lo conosceva quasi nessuno, perché Giannis aveva giocato giusto una stagione nell’A2 greca al Filathlitikos (il Cai Saragozza nel 2012 gli aveva fatto firmare un contratto quadriennale, poi reso vano dall’escape verso i professionisti). E’ chiaro che, con il senno di poi, oggi sarebbe senza discussione la prima scelta assoluta nel draft. Ma il tempo è galantuomo e nel caso di Giannis Antetokounmpo occorreva aspettare solo un po’: The Greek Freak (o se preferite The Human Alphabet, l’altro suosoprannome) era un predestinato in missione e ora la sua bandiera è ben piantata sulla vetta della Nba.

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