Massimiliano Greco è uno degli osteopati più conosciuti all’interno del circuito calcistico italiano e non solo. Il suo percorso formativo lo vede conseguire nel 1997 il titolo in medicina tradizionale cinese presso l’Istituto superiore di Medicina Tradizionale Cinese di Roma. Nello stesso anno si trasferisce in Cina per un tirocinio teorico-pratico presso l’ospedale Universitario di Xian, durante il quale ha approfondito tecniche di agopuntura, Massaggio Tradizionale Cinese, manipolazioni vertebrali, Qi Qonq. Nel 2007 si laurea in Fisioterapia con l’università degli studi di Chieti G. D’Annunzio e si forma in terapia manuale osteopatica presso la “Scuola franco italiana” di Osteopatia di Pisa; nella stessa scuola approfondisce le sue competenze attraverso i master in Posturologia, Manipolazioni Vertebrali e Kinesiologia. Dopo nove anni come osteopata e fisioterapista del Torino FC, attualmente ricopre lo stesso ruolo nella AS Roma, riuscendo comunque a seguire i suoi pazienti nel suo studio privato di Lecce.
Dottor Greco, ormai la medicina “alternativa” sta prendendo sempre più spazio tanto nella sua applicazione nel mondo dello sport, quanto nell’intervenire sui problemi posturali dovuti ai nuovi ritmi e stili di vita quotidiani. Come spiegheresti cos’è l’osteopatia ai non addetti ai lavori?
L’osteopatia è una medicina manuale che ha lo scopo di ripristinare l’equilibrio del corpo e la fisiologia. Funzione ancora più importante svolta dall’osteopatia è l’omeostasi, ovvero la capacità naturale del corpo di autoregolarsi e di raggiungere spontaneamente l’equilibrio. Attraverso tecniche di terapia manuale, l’osteopata è in grado di osservare l’individuo nella sua globalità. Mi piace definire l’osteopatia: professione sanitaria (riconosciuta tale ufficialmente dal 2018) che studia minuziosamente l’anatomia, la fisiologia e l’interdipendenza tra struttura e funzione.
Quali sono i problemi che riscontri maggiormente tra le “persone normali”? Intese come non sportivi professionisti con i quali lavori abitualmente nella AS Roma.
Il lavoro di studio mi consente di potermi confrontare con una casistica più varia rispetto al lavoro con la squadra, nella quale prevalgono casi di origine traumatica. Ovviamente gli infortuni possono essere causati anche da alterazioni funzionali, squilibri, sovraccarico e altri fattori. All’esterno del contesto calcistico, invece, i miei pazienti sono sia sportivi che persone che non praticano sport in maniera abituale. Nel primo caso, uno dei problemi che riscontro in chi pratica tennis o paddle è certamente l’epicondilite, conosciuto come “gomito del tennista”. Anche ginocchio e caviglia, sono tra le articolazioni che richiedono spesso l’intervento della “terapia manuale osteopatica”, definizione che amo particolarmente. Per quanto concerne i miei pazienti che non praticano sport in maniera continuativa, tra le patologie sulle quali può intervenire l’osteopata vi sono anche: cefalea, cervicalgia, lombalgie, sindrome da conflitto e reflusso gastroesofageo. Se per le prime, la figura dell’osteopata risulta per convenzione più idonea, in realtà, anche sui disturbi da reflusso, la terapia manuale osteopatica può portare benefici già dalla prima seduta. Infine, i miei pazienti si rivolgono all’osteopata per valutazioni posturali, funzionali e trattamenti di prevenzione. Molti di loro effettuano trattamenti mensili anche in assenza di sintomi appunto per prevenzione e per godere del senso di leggerezza e libertà di movimento che si percepisce dopo il trattamento.
Ci sono delle patologie che insistono maggiormente a seconda dello sport praticato?
Ovviamente a seconda dello sport, quindi anche degli allenamenti richiesti e dei gesti tecnici effettuati, l’atleta è più soggetto ad un infortunio rispetto ad un altro. Come detto prima, il tennis ha un “suo infortunio” chiamato “gomito del tennista”. Chi fa atletica ed è chiamato ad effettuare come gesto tecnico il salto, sarà più propenso ad avere problemi al ginocchio. Diversamente chi pratica sport di contatto, avrà problematiche di origine traumatica. Se invece si pensa a giocatori di pallavolo o pallanuoto sarà particolarmente sollecitata l’articolazione scapolo-omerale. Se si prende in considerazione invece il calcio, l’80% dei traumi interessa gli arti inferiori, il 15% colonna vertebrale e testa, il restante 5% l’arto superiore. Di questi il 40% circa sono infortuni di carattere muscolare, con la prevalenza dei muscoli ischiocrurali, retto femorale e muscolo soleo. Il 24% circa sono traumi di origine contusiva; tra il 20% e il 25% distorsioni; il 15% circa di patologie da overuse; infine le fratture sono circa il 3%. Tali dati, ovviamente, devono essere presi in maniera indicativa potendo variare anche di un 5%.
La pubalgia è uno degli incubi per i calciatori, ma non solo per loro. Durante la tua carriera hai curato centinaia di casi, molti dei quali sembravano sconfitti definitivamente da essa, prima di salire sul tuo lettino. Cos’è la pubalgia e come riesci ad averne la meglio con la terapia manuale?
È sicuramente difficile parlare della pubalgia in maniera sintetica, in quanto l’argomento è vasto e complesso. La prima volta il termine “pubalgia” è stato usato nel 1932 da Spinelli che parlò di pubalgia dello schermitore per indicare una sintomatologia dolorosa riferita in prossimità dell’osso pubico. Più tardi, nel 1949, si è iniziato a parlare di “pubalgia del calciatore”, definendola sindrome retto adduttoria, con un termine che indica esclusivamente una sede anatomica ma non la causa. Sicuramente, è una patologia che colpisce prevalentemente gli sportivi ma non solo. La sua valutazione è sempre stata controversa, sia per spiegare l’eziologia quanto per chiarire l’approccio migliore da utilizzare per la risoluzione del problema. Mi limiterò a dare il mio parere senza entrare in dettagli anatomici e biomeccanici specifici. I sintomi si manifestano in genere nel territorio degli adduttori, delle arcate crurali, del retto addominale, del pube e del perineo. Nella valutazione di questa tipologia, occorre prima di tutto avere la certezza di trovarsi di fronte ad una pubalgia “vera”, escludendo altre patologie di competenza medica come per esempio problematiche di natura urologica, neurologica o gastrointestinale, queste ultime riguardanti intestino tenue e crasso, che possono influenzare la sintomatologia retto adduttoria in modo diretto o indiretto. Nel trattamento della pubalgia l’approccio a mio avviso deve necessariamente essere globale, sia per quanto concerne la valutazione che il trattamento, sempre dopo aver escluso l’esistenza di patologie di pertinenza medica. È consuetudine, purtroppo, trattare la pubalgia con esercizi di stretching, posture e tonificazione con elastici, utili, ma solo in un secondo momento e mai in un’ottica protocollare ma esclusivamente frutto di una corretta valutazione specifica di quel paziente. Il primo passo dovrebbe essere quello di ripristinare mobilità alle articolazioni ipomobili, riequilibrare eventuali squilibri sulle catene muscolari ma soprattutto mi piace definirle miofasciali attraverso tecniche manuali osteopatiche e non solo. Successivamente consolidare e migliorare il risultato raggiunto con stretching e posture delle catene muscolari rigide e tese, tonificare i gruppi muscolari ipotonici con elastici, sedute in piscina, frutto sempre di uno studio attento del caso specifico.
La terapia manuale osteopatica, può intervenire anche in presenza di lesioni muscolari?
Dal mio punto di vista, nelle problematiche muscolari, la terapia manuale, grazie in particolare al trattamento trasverso, è il trattamento elettivo. In passato molti addetti ai lavori erano restii in fase acuta al trattamento manuale delle lesioni muscolari. Col passare del tempo molti medici hanno rivisto la loro posizione sull’argomento. In generale ho piacere nel citarne uno in particolare, al quale mi lega una profonda stima reciproca, ovvero il dottor Tavana, il medico più vincente del calcio. Nella prima fase, inerente al trattamento delle lesioni muscolari, vi dev’essere necessariamente una diagnosi corretta fatta assieme al medico e, eventualmente, supportata dall’esame diagnostico adeguato. Bisogna dire che il fisioterapista e l’osteopata posseggono gli strumenti e il bagaglio di nozioni per effettuare una classificazione della lesione muscolare attraverso una valutazione funzionale. In Italia la valutazione maggiormente utilizzata è sicuramente quella che un tempo era di Greich, divenuta nel 2000 di Nanni, in grado di valutare contrattura, elongazione, distrazione di primo, secondo e terzo grado. Negli ultimi anni è nata anche la “valutazione di Monaco” del dottor Muller-Wolfhart. Una volta diagnosticata l’entità della lesione muscolare e dopo essere intervenuti in prima battuta con la crioterapia e il bendaggio costrittivo, la terapia manuale può intervenire anche in fase acuta. Questo grazie principalmente al massaggio trasverso che, in fase acuta tramite l’agitazione dei fluidi, può determinare l’aumento e l’indice di fagocitosi. La vasodilatazione e l’aumentare del flusso ematico, facilità l’asportazione delle sostanze chimiche irritanti, responsabili del dolore. L’aspetto sicuramente più importante è che si ha una riduzione dei tempi di recupero e anche delle recidive, grazie alla formazione di una cicatrice mobile ed elastica. Ovviamente risulta importante, in una fase successiva, lavorare per la parte riabilitativa in maniera coordinata con il preparatore atletico: in un primo momento in palestra e successivamente con la ri-atletizzazione per poi consentire al calciatore (e allo sportivo in generale) di tornare ad allenarsi al 100%. Quanto appena detto, ovviamente, si basa su anni di esperienza personale maturata sul campo.