di Sara Santoro
C’era una volta un Piccolo Principe dai capelli dorati che amava tantissimo la sua rosa. Per lui è stata e sarà sempre speciale perché l’ha accudita e nutrita. “E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”. È scritto in un passo del libro di Antoine de Saint-Exupéry, frase che non può che descrivere al meglio anche il rapporto tra il “Principino” del calcio italiano, Claudio Marchisio, e la sua rosa..la sua Juve.
Una storia d’amore infinita, un legame profondo che solo il calcio può regalare. Si perchè Claudio, torinese doc, ha indossato il completino a strisce bianche e nere all’età di sette anni e non se l’è più tolto, se non per due brevissime parentesi in terra toscana e russa. Crescere con la Juventus che ti scorre nelle vene, è stato un sogno coltivato e realizzato grazie ad un cammino incredibile. Dalle giovanili, fino all’esordio con la prima squadra nel lontano 2006, in serie B con Deschamps in panchina. La Juve è nel suo periodo più complicato, ma forse è proprio grazie allo scandalo di calciopoli che decide di affidarsi ad un giovane promettente per risalire. Quel ragazzino sempre così elegante, dentro e fuori dal campo, non delude. Anzi diventa uno dei centrocampisti più brillanti del calcio italiano, tanto da guadagnarsi prima la convocazione con la Nazionale Under 21 nel 2007 e poi quella per gli sfortunati Mondiali in Sudafrica del 2010 con la Nazionale maggiore. La vera esplosione arriva, però, nella stagione 2011-2012 con l’arrivo di Conte in panchina e il ritorno alla vittoria dello scudetto. Marchisio mette a segno 10 gol e partecipa alla rinascita juventina, che lo porterà a centrare 7 scudetti consecutivi, tre Supercoppe Italiane e 4 Coppe Italia.
Il mestiere del calciatore, però, è imprevedibile. Tutto può cambiare in una frazione di secondo. Quel maledetto 17 Aprile 2016 nella sfida contro il Palermo, Claudio si rompe il legamento crociato anteriore. Da lì, niente sarà più lo stesso. Si dice che non è forte chi non cade, ma chi ha la capacità di rialzarsi dopo averlo fatto. Marchisio ci prova, ma quel pomeriggio di Primavera non si rompe solo il suo ginocchio. Al rientro non può che accorgersi che il suo ruolo alla Juve non è più saldo come in passato. Gioca meno e spesso finisce in panchina, soprattutto nelle gare che contano. E’ il 2018 quando questa bellissima storia d’amore giunge al termine. Il Principino ha soli 33 anni, forse ancora troppo pochi per scrivere la parola “fine”. La “Vecchia Signora” perde un’altra delle sue storiche bandiere, probabilmente l’ultima.
In un momento storico in cui il calcio globale sembra cambiare , molti valori sembrano essersi persi, Marchisio ha rappresentato l’esempio più bello: il lavoro, la dedizione, l’amore per una maglia, sempre la stessa per venticinque lunghi e bellissimi anni, il sacrificio, l’eleganza dell’animo sono una rarità, la scintilla che può ancora far innamorare di questo sport. Il regno del “Piccolo Principe” non è durato quanto ci si aspettava, ma è stato intenso. Pieno di romanticismo, anche nella scelta di lasciare. Si, perchè anche questa è stata dettata dal profondo legame instaurato con la maglia bianconera. Quando senti di non poter più dare quello che una squadra merita, quando tutto quello che ti sta intorno corre più veloce di te verso il futuro, non è facile ma devi lasciar andare. Il “bene della maglia”, è cosi che viene definito, un concetto che oggi sembra essere sempre più lontano da ciò a cui siamo abituati a vedere. Il richiamo del denaro, della gloria, di palcoscenici prestigiosi sono le tentazioni a cui spesso si cede, ma Claudio no. Ha sudato, lottato, gioito e pianto per quei colori. Li ha sempre onorati, rispettati e sognati. Ha incarnato in maniera perfetta lo stile juventino, distinguendosi sempre, dentro e fuori dal campo, per la sua estrema educazione e correttezza. Ha coronato il sogno di giocare e vincere con la propria squadra del cuore, sempre con quel numero 8 sulla schiena. Un infinito che ha alzato lo sguardo, senza abbassarlo mai. Un numero che lo racconta più di qualsiasi fotografia o vittoria.
E’ un dovere dire “ Grazie Claudio” , per la purezza e la nobiltà del tuo essere. Grazie per aver dimostrato che cucirsi addosso una sola maglia, non sempre è un limite ma un privilegio. Grazie per aver scritto un capitolo nella storia del calcio, per essere stato da sempre un condottiero e un capitano, pur non indossando ogni volta la fascia sul braccio. Grazie per aver creato un legame che va oltre il tifo e i colori ma soprattutto per averci fatto capire che in un’epoca in cui la spettacolarizzazione la fa da padrone, sono le emozioni che contano e che restano.