Di Pierandrea Fanigliulo
C’era una volta un gioco fatto di estro, di magia e di invenzioni “tirate fuori dal cilindro” che erano i piedi dei numeri 10…
Sembra una settimana fa quando nel mondiale del 1990 il numero 15 della nazionale azzurra, un ragazzo di 23 anni che aveva già subito un paio di operazioni al ginocchio, viene quasi invocato dal grandissimo Bruno Pizzul: “Giannini dà a Baggio. Triangolazione Baggio. Baggio che converge. Baggio, Baggio, Baggio. Finta di Baggio. Tiro…Grandissimo gol di Baggio“.
Sembra l’altro ieri quando Orlando effettua un lancio a spiovere nell’area di rigore della Fiorentina. Un lancio apparentemente troppo lento, leggibile e defilato affinché quel ragazzino con la maglia numero 10 della Juve dietro la schiena, che in quell’anno apparteneva ancora al Baggio invocato da Pizzul, potesse anche solo stopparla. Quella palla in realtà non toccherà mai terra se non dentro la porta difesa da Toldo, beffato da un pallonetto magico di Alessandro Del Piero.
Sembra ieri che l’Italia affronta l’Olanda nella semifinale del campionato Europeo del 2020. La partita si gioca all’Amsterdam Arena, un tempio colorato di arancione, e si prolunga sino alla lotteria dei calci di rigore. Il portiere azzurro, quel Toldo beffato dal ragazzino con la 10 di Baggio dietro la schiena, ne aveva già parato uno durante i 90 minuti regolamentari. Si ripete parandone un altro a De Boer durante la serie dei calci di rigore e poi Stam spedisce la palla in mezzo alla marea arancione. Sul dischetto ci va un ragazzo di Roma che si trova davanti Edwin van der Sar: due metri di portiere. Sembra ieri, appunto, che Francesco Totti dica agli altri azzurri: “Mo je faccio er cucchiaio”. Come andò a finire tutti lo sappiamo.
Le carriere di Roberto, Alessandro e Francesco hanno regalato tanto a chi li ha potuti ammirare. Carriere che esprimono una bellezza artistica molto più potente dei numeri delle loro statistiche. “Hanno vinto tanto” potrebbe dire qualcuno. “Hanno vinto pochissimo” obietterebbe qualcun altro. Certo, un solo Pallone d’Oro per Baggio, Del Piero e Totti sembra oggettivamente pochino. Eppure solo l’Argentina può vantare nella sua storia tre numeri 10 alla loro altezza: includendo il Riquelme del campionato argentino, gli altri due è superfluo nominarli. Come detto, però, le statistiche sono squadre e righelli che hanno la stolta presunzione di giudicare la bellezza di un’opera d’arte.
La bellezza espressa nelle carriere degli ultimi tre veri numeri 10 italiani è qualcosa di sublime che difficilmente riusciremo ad ammirare nuovamente sui campi di calcio del nostro Paese e non solo. Basta vedere l’amore passionale che i tifosi provavano, e provano ancora, verso di loro. Vedremo altri gol e altre giocate spettacolari, assisteremo a partite pirotecniche dai punteggi tennistici ma, quel calcio, è scivolato via assieme a Roby, Alex e Francesco. L’incanto di quel gioco così puro e imprevedibile, che permetteva ancora al talento di andare oltre ad ogni meccanico risultato ottenuto in laboratorio, è iniziato ad appassire quando anche l’ultimo vero numero 10 ha dato il suo addio al calcio.
C’era una volta un gioco a cui giocavano Baggio, Del Piero e Totti…quel gioco non c’è più.