Non ci sono aggettivi, c’è anzi soltanto da inchinarsi a Filippo Ganna, Simone Consonni, Francesco Lamon e Jonathan Milan, straordinari campioni olimpici, da oggi, dell’inseguimento su pista. Il quartetto azzurro, che già ieri in semifinale aveva migliorato il primato mondiale, replica e lo fa nel più spettacolare dei modi in finale contro la Danimarca, campione del mondo in carica della specialità. Una prestazione spaziale, con i quattro chilometri di gara chiusi in 3’42”032 (primato mondiale aggiornato) e soprattutto una rimonta incredibile quando, nell’ultimo chilometro, Ganna prende in mano le redini della squadra azzurra, recuperando praticamente da solo ben nove decimi di svantaggio al quartetto composto da Lasse Hansen, Frederik Madsen, Niklas Larsen, Rasmus Pedersen, penalizzato dallo ‘sgancio’ di quest’ultimo un po’ prima del terzo chilometro.
Era da 61 anni (quando, alle Olimpiadi di Roma 1960, Marino Vigna, Luigi Arienti, Franco Testa e Mario Vallotto conquistarono il metallo più prezioso) che l’Inno di Mameli non accompagnava un podio dell’inseguimento a squadre su pista, un risultato che dà ulteriormente la dimensione dell’impresa dei quattro alfieri azzurri. Oltre all’Italia campione olimpica e alla Danimarca, che dopo la controversa semifinale è costretta ad accontentarsi della medaglia d’argento, a completare il podio a Cinque cerchi della specialità è l’Australia, che supera nella finale per la medaglia di bronzo una Nuova Zelanda penalizzata da una caduta di Regan Gough, che va a toccare il compagno di squadra Kerby e va a terra poco prima dell’inizio dell’ultimo chilometro, lasciando via libera agli Aussies.