Di Pierandrea Fanigliulo
C’era una volta un codino divino che partendo da Vicenza andò a spasso per i campi di calcio prima d’Italia e poi del Mondo. Passò dalla Toscana, conquisto l’America sbagliando un rigore ma vincendo il Pallone d’oro e poi finì il suo giro facendo tappa a Bologna e Brescia. Quel Divin Codino disegnava col pallone da calcio quadri magnifici che solo il suo destro geniale sapeva realizzare. Appartenevano alla forma d’arte più elevata i suoi calci da fermo: punizioni o calci d’angolo non vi era distinzione. Quel calciatore fece il suo esordio nella prima squadra del Lanerossi Vicenza il 5 giugno del 1983 all’età di 16 anni. Un mese prima vide la luce a Prato un neonato che avrebbe ripercorso molte tappe della carriera di Roberto Baggio usando come pennello l’altro piede: il mancino.
Alessandro Diamanti, detto Alino, ha le stimmate del predestinato. Il suo piede sinistro fa cose che gli altri della sua età, ma non solo, possono solo sognare di realizzare. Eppure sino all’età di 24 anni deve fare gavetta, sgomitare e sporcarsi i calzettoni nel fango della C2 nella sua Prato. L’ultimo anno all’inferno è il primo in cui arriva in doppia cifra in termini di gol realizzati: 10. Ma in fondo i gol, per un giocatore come lui, non sono tutto, anzi! Lui è il tipico giocatore genio e sregolatezza capace di vedere traiettorie nascoste ai più. Giocatore credo sia molto più giusto di calciatore nel suo caso: non è affatto una “diminutio” ma, piuttosto, un voler celebrare il gioco del calcio che trova ancora interpreti come Diamanti in grado di giocarlo divertendosi e facendo divertire chi lo guarda.
Nel 2007 lascia quindi i campi di periferia per sbarcare direttamente nel massimo campionato italiano con un salto triplo da far intimidire anche i più coraggiosi. Non lui che invece nel Livorno del suo amico Galante dimostra che il talento, quello vero, non conosce categorie. Nonostante 4 gol (di cui uno su punizione “Maradoniana” proprio contro il Napoli), assist e giocate pazzesche non riesce a salvare la nave destinata alla deriva della Serie B. Alino però non abbandona il natante amaranto e rimane anche in cadetteria trascinando il Livorno nuovamente nella massima serie. Le sue giocate fanno il giro del mondo perché il suo calcio è qualcosa di sempre più raro da trovare sui campi di calcio.
Non esistono posizioni impossibili per calciare in porta, non esistono troppi avversari da rendere birilli prima di sfornare un assist che ti fa domandare come abbia potuto immaginarlo, non esiste una battaglia sportiva dove risparmiare un’insolita “garra” per uno con i suoi piedi. Già, perché Alino le cicatrici e la polvere dei campi di periferia non li ha mai rinnegati portandoli con sé ovunque. Anche al West Ham dove il tecnico Gianfranco Zola, uno che di piedi raffinati se ne intende, lo vuole con sé in Inghilterra. La stagione è più che positiva risultando uno dei protagonisti della salvezza in Premier League. I tifosi se ne innamorano ma, dopo appena un anno, nell’agosto del 2010 si trasferisce al Brescia, l’ultima squadra di quel codino divino che ha incantato gli stadi di tutto il Mondo.
Con le rondinelle rimane una stagione prima di passare nella squadra che gli affiderà la fascia di capitano: il Bologna. Proprio quel Bologna in cui Roberto Baggio diventa capocannoniere nella stagione 1997/98 segnando ben 22 reti. Alino di gol ne realizzerà 19 in 3 stagioni nelle quali si prenderà anche la maglia azzurra con cui sfiorerà la vittoria dell’Europeo 2012, sfuggita in finale a causa della sconfitta per 4-0 contro le furie rosse spagnole. Con l’Italia Diamanti veniva convocato a furor di popolo perché il suo modo di giocare ti lasciava incollato davanti alla tv in attesa che tirasse fuori dal cilindro qualche magia, realizzata ovviamente col suo fantastico mancino. Il colpo di genio arrivò nella Confederations Cup 2013 contro l’Uruguay: il suo gol su punizione consentì agli azzurri di arrivare ai calci di rigore poi vinti per 5-4.
Nel 2014 la sua stella che, in meno di una decade aveva abbagliato il mondo del calcio con la sua luminosa bellezza, improvvisamente sembrava aver perso la sua meraviglia: Guangzhou, Fiorentina, Watford e Atalanta e poi Perugia e nuovamente Livorno nel purgatorio della Serie B. Un abbaglio di poesia calcistica scritta e illustrata da un mancino che non ha mai disputato le coppe Europee, che non ha mai militato in una big ma che riusciva a realizzare traiettorie intrise di arte in grado di lasciarti lì, immobile, ad aspettare che qualcosa di fantastico accadesse.
Un fuoriclasse (perché tale è, a prescindere dalle statistiche e dal palmares), però, ha sempre in serbo un ultimo spettacolo da offrire ai suoi tifosi. Nel caso di Alino il palcoscenico scelto è “far far away”: quell’Australia conquistata al primo tentativo. Già, perché dal luglio del 2019 Diamanti è un giocatore del Western United con la quale al termine della scorsa stagione, il ragazzo partito dal fango della C2 italiana, è stato eletto miglior giocatore del campionato. Alla soglia dei 38 anni Diamanti e il suo mancino non smettono di giocare a quel gioco che solo artisti come lui riescono a celebrare nel migliore dei modi. Sempre con la sua 23 dietro le spalle, il giorno di nascita di sua moglie Silvia, e con il 10 nel cuore e in quel divino piede sinistro.